E' il primo Esbat dell'anno, se non consideriamo che, per le Streghe, l'anno nuovo comincia a Samhain, nel Giorno dei Morti, che segna il nuovo transito, nel mondo, degli Spiriti, nel momento in cui la tenebra si fa più fitta.
Non ho voglia di allestire l'altare, l'incenso, le pietre, le candele, e tutte le altre cose che uno Stregone deve procurare per rendere omaggio agli Dèi, così, decido di unirmi a una Congrega, e di dare luogo a ben altro genere di celebrazioni.
Mi sdraio sul letto, la testa sul cuscino e, reclinando il mio volto verso sinistra, attendo, e procedo alle operazioni dovute sinché non esco dall'ingombro del corpo. Il Viaggio Astrale è una delle componenti che rendono diversa la vita di una Strega, ed il passaggio è quello che segna la distanza tra il mondo della realtà fisica delle leggi scientifiche, e quello delle meraviglie dell'impossibile.
Contemplo il mio corpo reclinato e dormiente, come mi è spesso accaduto di fare al momento del passaggio, e quindi raggiungo la maniglia dell'armadio, alla quale è attaccata, con un nastro, la mia scopa di saggina, la sollevo portandola al centro della stanza, da dove ho pregato decine di orazioni, e quindi salgo a cavalcioni di essa, e, pronunziando la Formula, mi sollevo in volo, e sfreccio attraverso i vetri del mio balcone, laddove a suo tempo tracciai con il gesso due Pentacoli, per segnalare la presenza di un Fruitore di Magia.
Mi allontano volando, la punta del manico di scopa orientata verso la Luna Piena, ed aspetto di raggiungere altre Streghe: non mi ci vuole molto, perché sappiamo la direzione in cui dobbiamo volare, fa molto freddo, ma ho provveduto indossando il mio cappotto e ad incappucciarmi prima di prendere il volo: dopo un'ora circa di viaggio, vedo arrivare nella mia direzione una Congrega di uomini e donne, anch'essi, come me, a cavalcioni di scope, e anch'essi in viaggio nella stessa mia direzione, sotto di noi, si alzano ancora le luci di Torino ma gli edifici e i monumenti sono indistinguibili: mentre la gente dorme, noi voliamo.
Mi unisco agli altri e, proseguendo il viaggio, ci intratteniamo nelle discussioni più varie, dal rapporto con gli amici ai fidanzamenti rotti o interrotti, da Schopenhauer a Hegel fino al problema del mutuo, intanto saliamo sempre più in alto, unendoci ad altri gruppi sparpagliati finché non diventiamo un'unica formazione, un'unico stormo il cui brusìo finisce per interrompere ogni possibilità concreta di conversazione, e si continua volando, tutti, in silenzio.
Ci approssimiamo alla Luna, e, quando siamo sufficientemente vicini, sopra di questa cala un'ombra: un'ombra che chi non è informato confonde facilmente per uno dei tanti crateri che punteggiano il nostro satellite, ma noi sappiamo, ed entriamo nell'ombra.
Rimaniamo avvolti nel buio per quella che sembra un'eternità: è difficile calcolare i tempi quando non hai più mezzi di misurazione o di confronto, e non esistono più alto o basso, destra o sinistra, neanche concettualmente, infine, dopo un lungo percorso, raggiungiamo lo spiazzo di pietra.
E' questo il luogo in cui abbandoniamo le nostre scope, vengono accatastate l'una sull'altra, e per questo abbiamo un nastro sopra di esse: esso è inciso con Rune che ricoprono il nostro motto magico personale, in questo modo possiamo riconoscerle, l'accatastarsi delle scope è un processo simbolico importante, perché rappresenta quello che avverrà dopo.
Dallo spiazzo, si dipartono un centinaio di scalinate fiancheggiantesi, e molto ampie, che scendono nell'oscurità e nel profondo, esse sono illuminate da torce che vengono costantemente supervisionate e cambiate all'occorrenza, e sono sempre accese, ma nessuno sa chi sia ad occuparsi di questa incombenza: semplicemente, non si spengono mai.
Ci dividiamo, e scendiamo le scale, gli scalini sono settecentosettantasette, finché non arriviamo, io e la mia Congrega, ad un grosso fuoco, attorno al quale troviamo due sacerdoti dalle lunghe tuniche blu scuro, che si allargano alle caviglie, mocassini di cuoio, e mitre che portano, al centro, un gigantesco rubino, dal valore tale che vi si potrebbe comprare una città. Uno di essi porta una spada, un altro, invece, un'ampolla d'olio. Io sono il quinto:
Chi sei?
Sono colui che viene nel segno della luce argentea immersa nella notte rossa.
Puoi passare. ( Traccia sulla mia fronte un Pentacolo con l'olio dell'ampolla ).
Perché vieni?
Vengo a cercare il Fuoco dell'Unità nelle Acque della Dispersione.
Puoi passare. ( Mi invita a svestirmi, e traccia sulle mie braccia e sulle mie cosce un Pentacolo Normale a destra, Inverso a sinistra, Inverso a destra, Normale a sinistra, con la punta della spada, il processo è doloroso, ma fa parte dell'Iniziazione, che si rinnova ogni volta ). Nella Loggia dello Specchio dei Contrari, la tua Mente attesta la Supremazia dello Spirito. Se il Fuoco Superiore è in te più Vigoroso del Fuoco inferiore, tu puoi passare nel Fuoco, passa nel Fuoco.
Attraverso il grosso fuoco senza scottarmi, e, completamente nudo e segnato dalla spada e dall'olio dei sacerdoti, che si è incendiato al contatto dei vapori delle fiamme, lasciandomi un'ustione sulla fronte in segno di Pentacolo, passo oltre; ora sarà un'altro ad attraversare l'ordalìa.
Sollevando una torcia dalle pareti, avanzo per un lungo cunicolo, finché rintraccio gli altri, uomini e donne, nudi, come me, ci sono persone di tutte le età e di tutte le regioni del mondo, ammiro le loro pelli lisce come la seta o macchiate dai problemi della circolazione, glabre o villose, i seni formosi e pieni delle giovani donne come quelli sfiancati e cadenti di quelle più anziane.
Proseguiamo, finché la Sacerdotessa che ci guida, una donna dai capelli rossi, dalle cosce piene e dai seni sodi e prorompenti, che terminano in due capezzoli appuntiti del colore delle ciliegie, indubbiamente si tratta di una rossa naturale, non intona un canto, che tutti quanti ripetiamo, accodandoci alle sue parole:
Iò Evoé
Vieni Dioniso a rischiarare il canto
Iò Evoé
Le nostre carni e pelli son tuo manto
Eko Eko Azaràk
Noi sentiamo il tuo vento nell'ebbrezza
Eko Eko Zomelàk
Il piacere è la tua morbida carezza
Iò Evoé
Iò Evoé
Il canto continua, e sempre più stretto e indistinto si fa l'imperversare dei Nomi Barbarici, e sempre meno comprensibile il flusso delle parole, finché non raggiungiamo uno stato ipnotico talmente profondo, che i nostri corpi procedono all'unisono, e univocamente si agitano i segni delle torce.
Infine, usciamo dalle caverne all'aperto, sopra un altipiano, per scoprire che, qui, il nostro satellite è la Terra: dal suolo si alza, esclusivamente attorno a noi, come una nebbia argentea, vapori sussurranti che avvolgono i nostri passi, dapprima, per poi immergerci fino al collo in un tepore delicato: avvolti in quelle lenzuola di vapore, ci guardiamo in volto, e sentiamo un sottile piacere nel saperci nudi sotto quelle coltri delicate.
Procediamo, e al fischio di auloi, tambuti, e di flauti striduli si unisce a noi una processione di creature dalle gambe caprine, e dai falli perennemente inastati, i vortici più feroci della lussuria si trasfigurano dai loro occhi e dai loro sogghigni demoniaci, le loro braccia sono villose e le dita culminano in artigli laceranti come rasoi da barbiere, i loro petti glabri, alcuni di essi portano stendardi, come se fossero divisi in clan perennemente in guerra, tranne nelle notti dei piaceri, e altri delle fruste annodate costruite con linga di tori o altri animali fatti essiccare, chi le ha assaggiate, sa che sono dolorosissime.
Ci affiancano in due colonne cadenzate e disciplinatissime, e, ora, sappiamo che, anche volendo, se avessimo un dubbio, un ripensamento, non potremmo più tornare indietro, così, avanziamo, sapendo che, comunque, nessuno di noi vorrebbe ripercorrere i suoi passi, nel frattempo, continua l'effetto ipnotico dei nomi barbarici, sul quale si inasta il passo vigoroso dei Satiri: procediamo.
Il viaggio prosegue ancora a lungo, finché, dall'altra parte dell'altipiano, non incontriamo un'altro manipolo di persone, uomini e donne, ma circondate da Ninfe avvolte da edere, vitigni e pampini che, evidentemente, sono parte integrante dei loro corpi, e ne avvolgono i seni, le braccia, le cosce.
E' la nostra Sacerdotessa a muovere verso il loro gruppo, tenendo a sinistra la torcia, dall'altra parte, un Sacerdote fa identica cosa, tenendola torcia a destra:
SACERDOTESSA
Io vengo a risplendere del corpo di Dioniso, ad ammantare nella luce argentea della Luna l'ebbrezza notturna del faro nell'oscurità. Io vengo a distinguere tra me e te la cernita degli Dèi di cui ogni cosa si fa piena, per poi svuotarsi nuovamente.
SACERDOTE
Io vengo a brillare del latte siderale di Ecate, a lasciar custodire l'ebbrezza notturna del faro nell'oscurità la luce argentea della Luna. Io vengo a distinguere tra me e te la cernita degli Dèi di cui ogni cosa si fa vuota, per poi riempirsi nuovamente.
SACERDOTESSA
E nel pieno e nel vuoto indistinti e discontinui noi giochiamo la splendida partita della vicissitudine.
SACERDOTE
E la vicissitudine troverà un nuovo albore nel perpetuo avvicendarsi dei fluidi che danno origine al mondo.
SACERDOTESSA
E lo scambio non avrà mai fine, ma la luce volgerà in tenebra all'approssimarsi della notte.
SACERDOTE
E la tenebra volgerà in luce all'approssimarsi del giorno.
SACERDOTESSA
E ogni scrigno custodirà il seme di un nuovo frutto: e la madre il figlio, e il frutto il seme, e ciò che è oltre ciò che è prima, e ciò che è prima ciò che è oltre, e l'eterna pace delle cose sarà presente ma nascosta al di là della finzione dell'avvicendamento, e non vi saranno stelle spigolose e taglienti oltre il confine, ma solo la serena contemplazione della verità.
SACERDOTE
E non avverrà nulla che non sia già stato contemplato, e che la Luna non sappia, giacché essa risplende dell'argento della fecondazione della Terra, e non avverrà nulla che non possa essere misurato, finché non si tufferà il dito negli oceani del mare della Luce, la cui contemplazione risiede agli albori del Caos privo di ogni regola.
SACERDOTESSA
E allora muoverà il pensiero dell'uomo verso l'incalcolabile infinità del Volto della Dèa, e rimarrà perplesso perdendosi nel suo ricettacolo acquatico.
SACERDOTE
E allora muoverà il sentimento della donna verso l'incalcolabile infinità delle Corna del Dio, e rimarrà perplesso perdendosi nella rude durezza del suo amplesso.
SACERDOTE & SACERDOTESSA
E così non ci sarà più movimento, ma si comprenderà la stasi preposta sotto di esso come l'origine di tutte le acque, e l'uomo e la donna muoveranno i propri corpi verso l'incalcolabile infinità del loro amplesso, e rimarranno perplessi perdendosi nell'ineffabile meraviglia della loro unione.
I due si avvicinano, si abbracciano, e si baciano, avvicinando sempre più, e progressivamente, i loro corpi, mentre il canto dei Nomi Barbarici, ormai un vero e proprio urlo indistinto privo di qualunque possibilità di ritmo, esplode attorno a loro: è il segnale, e ci avventiamo l'uno sull'altra abbracciandoci in un tripudio di seni che si sollevano come coppe rovesciate, di gambe e di braccia, di cosce e di mani, di lingue e di labbra, di lingam e di yoni: le Ninfe, sdraiandosi e unendosi all'orgia, lasciano cadere sopra di noi i loro mantelli di vitigni e pampini, ed essi sembrano allungarsi ed intrecciarsi sopra di noi, unendoci con la Natura in un Tutto indistinguibile, dei Satiri, la gran parte si uniscono ai piaceri, ma alcuni di essi, forse prigionieri di guerra, forse puniti per qualche motivo che sfugge alla comprensione, si muovono tra i corpi sempre più confusi, e dispensano robuste nerbate, o colpiscono di piatto con gli stendardi, incentivando la circolazione del sangue, e rendendo così i piaceri, se possibile, ancora più intensi, e pervasi di dolore. Altri ancora, tra di essi, scelgono indistintamente donne o uomini, Satiri o Ninfe, e, afferrandoli ed aprendo le loro bocche sfiorandole con la minaccia dei rasoi, rigettano dentro di esse quello che sembra sangue a fiotti abbondantissimi, ma si tratta, in realtà, di un vino ambrato e delizioso, un vino di quelli che, assaporatili una volta, non se ne può, poi, mai più fare a meno.
Finché, avvolti nella Luce, non compaiono poi a destra Bacco, a sinistra Ecate, e, nel trionfo del Fuoco dello Spirito in cui siamo avvolti, tutti pervasi della Verità della Vita come cellule infinitesimali del Dio Pan che sempre muore per sempre risorgere eternamente e in ogni attimo, anch'essi non si uniscono a noi, nell'orgia dionisiaca.
lunedì 12 gennaio 2009
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