Scendemmo oltre i confini
Delle montagne e dei picchi
Innevati, mentre il rifrangersi
In mille costellazioni dell'aurora
Ci feriva gli occhi, e vedemmo
Levarsi, di là da esso, cupole
E minareti perduti da tempi
Remoti, e sentimmo muovere
Verso di noi l'abominevole
Fiato della Divinità Mostruosa,
Che si contorceva nei segreti
Meandri che si estendevano
Sotto quei remoti palazzi.
Allora mettemmo mano
Al Necronomicon, e recitammo
Litanie che parevano non avere
Confini nei tortuosi percorsi
Della parola, e si mossero
Cose che valicavano il
Concetto stesso
Dell'immaginazione, mentre,
Trasognanti, aspettavamo
Quasi di morire nella
Trascendenza dell'esito
Di un mistero senza nome.
Ma ruggì il rombo del tuono,
E si catapultò roboando
Dalle remote nubi il rovescio
Dei fulmini globulari.
Perciò, mentre tremavamo al cospetto
Della terribile maestà
Del supremo disordine cosmico,
Attraversammo senza esitare
L'ultima soglia, perché ormai
Sapevamo in che direzione
Saremmo stati costretti a procedere.
venerdì 5 dicembre 2008
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