domenica 1 febbraio 2009

Poeti italiani del Novecento

A cura di Vincenzo Menegaldo
Ed. Oscar Mondadori.

Basterebbe questo grosso volume per fare una monumentale attestazione
dell'entrata delle genti nel Kali Yuga, ossia nella più barbarica
dell'età dell'uomo: quella degli Uomini di Ferro. E in effetti, dai
computer alle macchine industriali, il ferro è proprio il materiale
che più ci circonda, in assoluto.
Intendiamoci, il curatore fa i salti mortali per condire questo
materiale di riflessioni erudite e interessanti, ma è pur vero che
quanto è inappetibile, così rimane, per quanto condito dai più
deliziosi unguenti.
In altri termini, siamo ben lontani dalla costruzione di una visione
del mondo, di un'ipotesi del valore del poeta come potevamo trovare in
un Leopardi o in un Foscolo, o in Dante, per dire, qui invece, abbiamo
degli sprazzi su un'emozione, un sentimento, o un attimo di vita, e la
cosa finisce lì: è totalmente neutra, e il lettore, non diversamente
dalla lettura del primo romanzetto d'amore, o d'avventura,
non ne riesce né migliore né peggiore, semplicemente, ne riesce,
e, se è masochista, divertendosi pure.
L'impressione, insomma, è quella di declamare aria fresca ( il che,
tutto sommato, non è un male, visti gli attuali livelli di
inquinamento ).
Dal punto di vista formale, invece, facciamo fatica a trovare un
ossimoro, una rima, per non parlare di assonanze e simili, che non
solo erano gli strumenti propri del poeta, ma che anche gli
permettevano di dimostrare che era in grado di governare le
associazioni di idee, e non il contrario, ciò, per tacer delle
metafore: la musicalità è quella che è, si basa generalmente sulla
posizione degli accenti, se compare, ma, per lo più, si ha
l'impressione che si scriva in prosa, andando a capo più spesso del
necessario.
Per quanto riguarda quelle costruzioni mastodontiche e narrative, che
hanno fatto la storia del passato poetico italiano, come “ La divina
commedia “ o “ La Gerusalemme liberata “, ma Santo Cielo!
Scordiamocele! Non vorremmo mica che si scopra l'inganno? Se andiamo
avanti oltre lo riempire due pagine, e se siamo veramente in gamba
anche quattro, poi salta il coperchio dalla padella, e ci si accorge
di come vi stiamo prendendo per i fondelli! E cioé che, per lo più,
stiamo scrivendo in prosa, anche se piuttosto bene.
Certo, qualcosa da salvare c'è, a cominciare dall'opera omnia di Saba,
ma i moderni, prima di iniziare, farebbero bene a tornare al buon
Plutarco, così, tanto per reimparare dei valori che si stanno
dimenticando, e soprattutto riconoscere la propria inferiorità nei
confronti degli antichi ( atto di umiltà dovuto e necessario, che,
curiosamente, gli Americani sono ancora capaci di fare, gli Europei
no ).
Per concludere, vale la pena di citare questa splendida perla del
Fortini:

Vedi questo pezzo di legno secco.
Il carbonaio, quando d'ottobre ai castagni
foglie mezze e ricci cascano nei giardini,
porta alle case il carbone delle miniere.
...

E un: - E chi se ne frega? - Non ce lo mettiamo?

P.S. Poi, per carità, c'è anche chi si interessa a srotolare gli
incarti per il pesce, per scoprire cosa c'era scritto dentro.

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