XVII. Per il LXXVIII anniversario
dalla proclamazione della Repubblica francese
Sol di settembre, tu nel cielo stai
Come l'uom che i migliori anni finì
E guarda triste innanzi: i dolci rai
Tu stendi verso i nubilosi dì.
Mesto è sereno, limpido e profondo,
Per l'ampia terra il tuo sorriso va:
Tu maturi su i colli il vino, e al mondo
Riporti i fasti de la libertà.
Mescete, o amici, il vino. Il vin fremente
Scuota da i molli nervi ogni torpor,
Purghi le nubi de l'afflitta mente,
Affoghi il tedio accidïoso in cor.
Vino e ferro vogl'io come a' begli anni
Alceo chiedea nel cantico immortal:
Il ferro per uccidere i tiranni,
Il vin per festeggiarne il funeral.
Ma il ferro e il bronzo è de' tiranni in mano;
E Kant aguzza con la Ragion
Pura il fredd'ago del fucil prussiano,*
Körner strascica il bavaro cannon.
Cavalca intorno a l'avel tuo, Voltèro,
Il diletto di Dio Guglielmo re,
Che porta sopra l'elmo il sacro impero,
Sotto l'usbergo la crociata fé,
E ne la man che in pace tra il sacrato
Calice ed il boccal pia tentennò
Porta l'acciar che feudal soldato
Ne le stragi badesi addottrinò,
E crolla eretta al ciel la bianca testa...
O repubblica antica, ov'è il tuo tuon?
Il cavallo del re, senti, ti pesta,
E dormi ne la tua polve, o Danton?
Mescete vino e oblio. La morta gente,
O epigoni, fra noi non torna più!
Il turbin ne la voce e nel possente
Braccio egli avea la muscolar virtù
Del popol tutto. Oh, il dì più non ritorna
Ch'ei tauro immane le strambe spezzò,
E mugghiò ne l'arena, e su le corna
I regi i preti e gli stranier portò!
Mescete vino, amici. E sprizzò allora
Da i cavi di Marat occhi un balen
Di riso: ei sollevò da l'antro fuora
La terribile fronte al dì seren.
Matura ei custodìa nel sen profondo
L'onta di venti secoli e il terror:
Quanto di più feroce e di più immondo
Patîr le plebi a lui stagnava in cor.
Le stragi sotto il sol disseminate,
I martìr d'ogni sesso e d'ogni età,
I corpi infranti e l'alme violate
E le stalle del conte d'Artoà,
Tutto ei sentia presente: il sanguinoso
Occhio rotava in quel vivente orror,
E chiedea con funèbre urlo angoscioso
Mille vendette ed un vendicator.
De l'odio e del dolor l'esperimento
Il cor gli ottuse e il senso gli acuì:
Ei fiutò come un cane il tradimento,
E come tigre ferita ruggì.
Ma quel che su da l'avvenir salia
D'orro fremito udì Massimilian,
E come falciator per la sua via,
L'occhio ebbe al cielo ed al lavor la man.
De' solchi pareggiati in su'l confino
Il turbine vi attende, o mietitor:
O mietitori foschi del destino,
Non fornirete voi l'atro lavor.
Maledetto sia tu per ogni etade,
O del reo termidor decimo sol!
Tu sanguigno ti affacci, e fredda cade
La bionda testa di Saint-Just al suol.
Maledetto sia tu da quante sparte
Famiglie umane ancor piegansi ai re!
Tu suscitasti in Francia il Bonaparte,
Tu spegnesti ne i cor virtude e fé.**
G. Carducci
21 Settembre 1870
Odi ed Epodi
* I critici sono per lo più delle infingarde teste di cazzo: in nota
non trovi mai le cose degne di rililevo, perché la " Critica della
ragion pura " avrebbe reso più pericolosi i fucili prussiani?
** Chiunque abbia affiancato il nome del Carducci a quello di Montale,
novello Efialte, dovrebbe essere marchiato con una perenne bolla di
infamia, ma ancor più il " poeta " medesimo, visto che se n'è
apertamente vantato, ed in una sua operetta ( che a chiamarla poesia,
in questo caso, sì che mi vergogno ), per di più. Dov'è quest'Italia?
Dove questi Italiani?
sabato 7 febbraio 2009
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