sabato 7 febbraio 2009

Il piatto greco

Nel mio soggiorno si trova un bellissimo piatto greco: raffigura il
Partenone, di notte, e, davanti ad esso, il ceppo rimasto del tronco
d'un albero tagliato.
Mi affascinava l'idea di saperne di più, di quel piatto, così, decisi
di entrarvi all'interno: iniziai la Meditazione, ma mi apparvero gli
strumenti più strani: nastri, frese, prese elettriche, e quant'altro.
Avevo sbagliato percorso, e stavo indagando su come era stato
costruito.
Ritentai, e questa volta riuscii nel tentativo, uscendo dal corpo in
Viaggio Astrale, e andando a sistemarmi proprio davanti al Partenone:
come spesso avviene in questi casi, a meno che non si abbia a che fare
con Spiriti Elementari, o simili, ero invisibile, e decisi di restare
tale, perché quello che avevo davanti, in piena notte, non era un
ceppo d'albero, ma un albero di ulivo fiorente e robusto, che un
giovane stava risolutamente e tenacemente abbattendo a colpi d'ascia.
Lo osservavo nascosto dalla mia invisibilità: portava una tunica blu
scuro, legata alla vita da una cintura dalla fibbia dorata, i suoi
capelli erano lunghi ed ondulati, il profilo era quello classico
greco, ed i suoi occhi, molto grandi, afflitti e nello stesso tempo
combattivi, parevano brillare da dietro un elmo.
Osservai finché l'albero non cominciò ad oscillare, e poi non mi cadde
addosso, per attraversare il mio Corpo Astrale, e rimanere a terra,
dopo un greve e rumoroso tonfo.
A questo punto la Visione si interruppe, ma volli saperne di più, così
tornai in Meditazione, ma questa volta, chiedendo di essere
trasportato sul posto di giorno.
Mi ritrovai tra un gruppo sparso di persone, in lontananza, un
drappello di guardie scite, munite di archi le cui frecce avrebbero
attraversato un anello lanciato in aria a trenta metri e oltre di
distanza, stavano scortando un prigioniero, mi accorsi con facilità
che si trattava del ragazzo che avevo visto, nella notte, abbattere
l'ulivo.
Incuriosito, entrai nel Partenone: chi si sia meravigliato nel
vederne, oggi, le rovine, non può neanche sospettare di cosa si
trattasse nell'antichità, tra bracieri, statue colorate, altari, ed
altre meraviglie scultoree, in ogni caso, in questa sede trovai un
luogo appartato, ed uscii dall'invisibilità, i vestiti mi erano stati
forniti dall'Immaginazione.
Uscito dal Tempio, raggiunsi le guardie, e chiesi di parlare con il
prigioniero, mi venne chiesto il motivo, risposi: - Sono uno storico,
sono curioso. -
Raggiunsi il ragazzo, e gli chiesi: - Sapevi che, in Atene, abbattere
un ulivo, patrimonio e pressoché unica fonte di ricchezza della città,
è reato punibile con la pena capitale, perché l'hai fatto? -
E il giovane, al quale era stato concesso di portare con sé la sua
cetra, rispose: - Sono un aedo, un citaredo. - E, così parlando, la
sua voce si levò in un magnifico canto, tanto più stupefacente, quanto
più non era, in quel momento, accompagnata da alcuno strumento
musicale: - Mi impegnai giorno e notte per studiare a memoria, e
cantare, le opere dei nostri padri antichi, non mi fermai un secondo
dal lavoro, finché non mi sentii pronto per lavorare alle corti dei
potenti. Allora offrii la mia arte alla Dèa Atena, e mi presentai,
vagando di casa in casa, a nobili e cavalieri, ma, ovunque io andassi,
ottenevo lo stesso risultato. Vedevo altre persone, non so se più o
meno brave di me, ma che sicuramente erano conosciute da maggior
tempo, ricevere onori e guadagnarsi da vivere liberamente. A me,
invece, per quanto m'impegnassi, non venivano lanciate che croste di
formaggio e bucce di frutti, e, spesso, gli altri ridevano del mio
canto, girai tutta la Grecia, e ovunque fui trattato nello stesso
modo. Allora decisi che Atena non mi aveva aiutato, nonostante io
avessi deciso di impegnarmi esclusivamente per renderne più grande il
nome, e pensai, dunque che, forse, aveva bisogno di un maggiore
incoraggiamento, così, presi una decisione, e tornai ad Atene. Quivi
giunto, preparai il tutto con molta cura e, ieri notte, decisi di
abbattere non semplicemente un albero a lei sacro, un ulivo qualsiasi,
ma l'albero a lei sacro per eccellenza: l'ulivo del Partenone, ma,
nonostante tutte le mie cautele, fui scoperto, e venni arrestato,
così...-
Mi allontanai, incurante dell'incerto: -Ma... - proferito dal
prigioniero: la sua sorte era stata anche troppo simile alla mia.
Eppure, pensavo, forse anche nel mio caso gli Dèi hanno bisogno di una
bella scossa, e allora sia, questo racconto sia l'abbattimento
dell'ulivo, affinché il mio Dio tutelare Mercurio possa accorgersi di
me, e guadagnarmi maggior fortuna, ma, rimanendo, in seguito a tale
offerta, io libero, non potrei uscire da questo racconto senza
togliere quel giovane ragazzo dalle mani del boia: va', per l'autorità
conferitami dalla mia realizzazione come scrittore, io ti libero, va',
che i tuoi aguzzini allentino le corde degli archi, e lascino cadere a
terra le faretre con tutte le frecce, che venga cancellata dalle menti
di ogni greco qualunque imputazione contro di te, e possa tu
recuperare, per sempre, la tua libertà, e rimanga ignota la ragione di
quel ceppo di tronco sul piatto nel mio salotto, e io, uscendo dal
Viaggio Astrale, tornare alla bisognosa prigionia del mio corpo.

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